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IL VIAGGIO DI FELICIA
(FELICIA'S JOURNEY)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 21 maggio 1999
 
di Atom Egoyan, con Bob Hoskins, Elaine Cassidy (Canada - Stati Uniti, 1999)
 
Quali sono i sotterfugi ai quali ricorre il male? E quali le strade dell'innocenza, la purezza, l'onestà per venirne a capo? Per rispondere a quesiti vecchi come il mondo, e forse più ancora (se è vero che perché esista il bene è probabilmente inevitabile l'insorgere del male), il regista canadese Atom Egoyan ricorre una volta ancora alla fiaba.

Era già una favola, infatti, la chiave di quello che è a tutt'oggi il suo capolavoro, IL DOLCE DOMANI (THE SWEET HEREAFTER). Perché l'incidente al bus della scuola che sconvolgeva la serena comunità montana, perché proprio quel giorno, perché la perdita di un figlio, la scomparsa di un bambino? A queste domande prive di risposta Egoyan rispondeva citando la celebre fiaba di Andersen, quella del Pifferaio Magico. Che, per vendicarsi degli abitanti di Hamelin attirava a sé, incantandoli con il proprio flauto i bambini del villaggio, guidandoli in una caverna. Tutti, meno uno: quello storpio, che non ce l'aveva fatta a seguire il gruppo. Il caso, certo. La fatalità inesplicabile. Oppure anche la cattiva volontà, la grettezza umana? "Se il Pifferaio era cosi onnipotente" - chiedeva uno dei piccoli protagonisti del film - "perché non obbligava semplicemente i genitori a pagare quanto gli dovevano; invece di portarsi via i bambini?"

Pur adattando per la seconda volta consecutiva un romanzo (dello scrittore irlandese William Trevor), e forse per adeguarsi maggiormente al gusto delle platee (misterioso e sconcertante THE SWEET HEREAFTER fu accolto entusiasticamente dalla critica; meno dal pubblico) Egoyan cambia registro. Cosi, con IL VIAGGIO DI FELICIA sceglie la strada più identificabile del giallo. Senza per questo rinunciare a quelle prerogative che ne fanno una delle personalità più poetiche del cinema contemporaneo: senza abdicare a quella suo modo di sondare il mistero che regola i rapporti fra gli individui, la linea sottile che divide la fatalità dalla norma, il caso dalla volontà, il bene dal male. E senza rinunciare alla favola: che questa volta, semplicemente è quella di Cappuccetto Rosso a confronto con il Lupo.

Accompagnata da tutta una serie di straordinarie panoramiche (quelle serene, di un quotidiano rassicurante su un'Irlanda non necessariamente bucolica; quelle progressivamente minacciose dei sobborghi industriali inglesi), la Felicia - Cappuccetto del titolo (la scelta, incredibilmente luminosa di Elaine Kassidy) cerca di ritrovare il bel giovane dallo sguardo trasparente dal quale è rimasta incinta. Incontrerà invece un tragicomico personaggio, pure lui splendidamente interpretato da Bob Hoskins. Responsabile della mensa di un'industria dolciaria di Nottingham, scapolo a modo, recluso in una dimora datata, in una immensa cucina nella quale si prepara pantagruelici, solitari banchetti. Gli occhi fissi su un televisore, sul quale scorrono in eterno le medesime immagini in bianco e nero: quelle di una consigliera culinaria (che scopriremo essere la madre dell'inquietante signor Hilditch), provvista di uno spassoso accento francese; e di un ragazzino maldestro e grassoccio, che ogni tanto rimpinza del fegato crudo sfuggito dalle padelle. Che il ragazzino sia diventato il Lupo è cosi ovvio che posso anche svelarvelo. Anche perché non è tanto sulle tracce del thriller che ad Egoyan interessa avviarsi. Semmai sull'universo straniante, come sospeso nel tempo che l'indagare della sua cinepresa rende vieppiù immobile, come dilatato su quelle spianate mentali che spalancano i ritorni all'indietro sul trascorso dei personaggi. Una madre dilagante, un padre spietato, murato nei pregiudizi religiosi che rendono meno idilliaca la leggendaria luminosità dell'isola verde. È di loro, semmai, che si è servito il caso (o il destino, o il male, a vostra scelta) per far precipitare le cose. Non tanto Cappuccetto, l'essere innocente (come le protagoniste di EXOTICA e di IL DOLCE DOMANI) destinato a passare indenne fra le trame più perverse, a persistere cosi nella sua fede nel bene. Ma nemmeno Lupo: vittima a sua volta di una meccanica misteriosa, sulla quale conviene chinarsi con altrettanta pietà.

Forse meno libero del suo precedente, ma altrettanto poetico e commovente (per l'energia fantastica che gli permette di liberarsi dagli schemi del genere al quale appartiene), filmato con quella grazia miracolosa che permette di trasformare gli ambienti in paesaggi mentali, le curiosità dell'aneddoto in motivazioni fantastiche, la meccanica di un classico thriller in risonanza metafisica, FELICIA'S JOURNEY è la riprova di quanto possa il cinema quando è affidato ad un illusionista capace di piegarne l'evidenza fotografica alla propria volontà poetica.


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